Alcuni di voi mi hanno chiesto di raccontare qualcosa in più sul Sudafrica; mi rendo conto che il mio ultimo post era un po’ scarso di informazioni ma la testa era ancora in vacanza e non sono riuscita a scrivere granchè.
Per parlarvi di questo magnifico stato africano, mi servo dell’aiuto di un libro bellissimo che ho letto prima di partire e che mi ha permesso di conoscere la storia e le vicissitudini di un popolo e di un paese lontano da noi e di cui anche in passato abbiamo sentito parlare poco. Il libro è Un arcobaleno nella notte di Dominique Lapierre (il Sudafrica è tra l’altro chiamata la nazione arcobaleno e la sua bandiera è in effetti un tripudio di colori).
Il libro narra la storia dello stato africano, dall’arrivo dei primi migranti bianchi nel XVII secolo alla liberazione di Mandela e ai giorni nostri.
Il libro narra la storia dello stato africano, dall’arrivo dei primi migranti bianchi nel XVII secolo alla liberazione di Mandela e ai giorni nostri.
I primi olandesi (i boeri) sbarcarono nella punta sud del Sudafrica, all’altezza di Città del Capo con il compito specifico di sfruttare il buon clima per la coltivazione di frutta e verdure che avrebbero aiutato a sconfiggere lo scorbuto che stava causando la moria di buona parte degli equipaggi delle navi della Compagnia delle Indie orientali. Supportati dalle idee calviniste e dall’ideale della Terra Promessa, i boeri non si fermarono però sul Capo com’era previsto ma cercarono di spostarsi verso l’interno per conquistare aree agricole sempre più grandi e stabilire attività più proficue come l’allevamento e la caccia. Ovvi sono stati i primi scontri con gli indigeni, scontri che sono proseguiti per più di un secolo, causando migliaia di vittime, soprattutto tra gli africani impreparati all’uso delle armi del popolo olandese.
Ma la guerra tra i boeri e gli indigeni non è stata l’unica a insanguinare il territorio sudafricano nei secoli scorsi. L’arrivo degli inglesi, guidati da mire espansionistiche prima e da interessi economici poi, con la scoperta dei primi giacimenti di diamanti (una curiosità: il primo diamante sudafricano, di parecchi carati, è stato scoperto sotto la casa di una famiglia di contadini olandesi, tali De Beers. Vi dice nulla il nome?), scatenarono contrasti via via più accesi con i boeri, che dal canto loro, non volevano cedere alcun ettaro di terreno all’eterno nemico inglese. La tensione tra i due popoli crebbe anno dopo anno fino a sfociare nella guerra anglo-boera, che portò a enormi perdite sui due fronti e alla vittoria, sofferta, finale degli inglesi. Durante i negoziati che seguirono gli Olandesi ottennero comunque di mantenere una certa autonomia e di conservare l’uso dell’afrikaans (una lingua derivata dall’olandese ma con influenze tedesche e locali), diventata ormai il loro simbolo di lotta per l’indipendenza.
Se gli inglesi avevano una visione più liberale dell’integrazione con i neri e volevano estendere il diritto di voto anche al popolo africano, gli olandesi, anche in seguito all’accresciuta povertà successiva alla guerra con i britannici, si strinsero sempre più nei loro ideali di “razza prediletta” e inasprirono tutte quelle leggi che sarebbero tristemente passate alla storia come apartheid. E qui si arriva al secolo scorso e alle lotte che hanno caratterizzato la storia sudafricana fino agli anni Novanta. Impressionante la visita, a Città del Capo, del museo del District 6, il distretto cittadino che in pieno apartheid fu dichiarato per soli bianchi con la conseguenza di intere famiglie sradicate dall’area interessata e condannate a vivere nelle township o baraccopoli della periferia. I cartelli “riservato ai soli bianchi” o “divieto di accesso ai neri e ai coloured pena l’applicazione di severe sanzioni” si sprecano in quegli anni.
La lotta per la libertà delle persone di colore produrrà eroi come Biko o lo stesso Mandela che però dovranno scontare anni di persecuzione e prigionia.
Mandela fu liberato nel 1990 e oggi il governo del Sudafrica è guidato dall’ANC (African National Congress). Tuttavia le differenze restano e la sensazione, quando si visitano le città, è ancora di una totale separazione tra bianchi e neri. I quartieri bianchi si presentano blindati, con le case recintate da alti muri e da filo spinato elettrificato; a fianco le township immense con le baracche in laminato e le strade non asfaltate. Ci vorrà probabilmente più di una generazione prima che queste differenze possano dirsi superate.
Una scritta appare sul molo di Capetown, vicino alle statue di Mandela e di altri tre personaggi e altrettanti premi Nobel per la Pace (Albert Luthuli, Desmond Tutu e FW de Klerk), un augurio che speriamo duri nei secoli:
Bellissimo post!
RispondiEliminaSperavo, pensavo, credevo che le cose fossero cambiate, ma da quello che dici sembra non sia così.. è assurdo e doloroso pensare che possano ancora esserci queste distinzioni, bianchi e neri: siamo nel 2012, ci sono stati Mandela, Tutu e altri che hanno lottato, hanno fatto tanto, ma non sono riusciti a cambiare definitivamente il loro paese.
La frase che hai citato è meravigliosa e piena di speranza.
ciao Chiaretta!
RispondiEliminasì, purtroppo le cose in Sudafrica non sono così cambiate; formalmente sì, non ci sono più separazioni vere e proprie e il governo non è in mano ai bianchi. Ma la differenza tra bianchi e neri a livello di benessere è ancora abissale. Speriamo che le nuove generazioni si integrino di più.
A presto. ciao